Vicenda processuale
La controversia ha avuto origine a seguito del silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate relativamente a una richiesta di rimborso avente a oggetto degli acconti d’imposta su Tfr.
Nel costituirsi in giudizio, l’ufficio eccepiva l’intempestività dell’istanza, asserendo che la stessa era stata presentata oltre il termine decadenziale di 48 mesi (dalla data dei versamenti di cui si chiedeva la restituzione), previsto dall’articolo 38 del Dpr 602/1973.
Ad avviso della ricorrente, invece, avrebbe dovuto trovare applicazione il termine prescrizionale decennale di cui all’articolo 2946 del codice civile; secondo la contribuente, difatti, il versamento in questione era da ritenersi non dovuto per sopravvenuta mancanza del relativo titolo di pagamento, sicché la fattispecie, a suo parere, configurava un’ipotesi di indebito oggettivo ex articolo 2033 cc, con conseguente applicabilità, ai fini della restituzione delle somme, del termine prescrizionale ordinario previsto dall’articolo 2946 del codice civile.
I giudici di prime cure accoglievano il ricorso della parte, la Ctr, invece, in totale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva la tardiva presentazione dell’istanza di rimborso, accogliendo, di conseguenza, l’appello dell’ufficio.
La pronuncia della Cassazione
Ricorreva per cassazione la contribuente, eccependo – ex articolo 360 cpc, comma 1, n. 3 – violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, per non aver, i giudici di secondo grado, riconosciuto l’applicabilità del termine di prescrizione ordinario decennale: la Corte suprema, con la sentenza 16617 dello scorso 7 agosto, ha rigettato il ricorso.
Come in altre occasioni statuito dalla Corte di cassazione, in tema di rimborso dei versamenti effettuati dal contribuente, il termine di decadenza, previsto dall’articolo 38 del Dpr 602/1973, ha valenza generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento risulti in tutto o in parte non dovuto, riguardante errori tanto connessi ai versamenti quanto riferibili all’an o al quantum del tributo (Cassazione, 11987/2006).
Invero, la normativa di cui al richiamato articolo 38 dispone che – sottolineano i giudici di legittimità – il soggetto che ha effettuato il versamento diretto (non preceduto, cioè, come nel caso di specie, da un atto impositivo) ha l’onere di presentare, al competente ufficio finanziario, un’apposita istanza di rimborso entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, “nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale del relativo obbligo”.
Ebbene, come precisato dalla Corte, non può dubitarsi che in tale nozione di “inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento” rientri anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perché non dovuto per carenza della supposta obbligazione tributaria e, quindi, anche l’ipotesi dell’indebito oggettivo.
Il tenore letterale della norma, rilevano i giudici, “non autorizza, invero, una interpretazione diversa e, in particolare, non consente di distinguere tra i versamenti diretti in relazione ai quali il contribuente faccia valere l’inesistenza dell’obbligo di versamento e quelli per cui lo stesso deduca l’inesistenza dell’obbligazione tributaria” (Cassazione, pronunce 10340/2007, 18013/2004, 1040/2004).
Il processo tributario, pur comportando un giudizio su rapporti, può essere instaurato soltanto mediante impugnazione di specifici atti o rifiuto degli stessi, con conseguente formazione di preclusioni in forza dell’omesso esercizio, nel termine di decadenza, del diritto di impugnazione; ne consegue che dovranno considerarsi rapporti definitivamente conclusi quelli in relazione ai quali, in caso di versamento diretto, non sia stata presentata istanza di rimborso nel termine previsto dell’articolo 38 del Dpr 602/1973 (Cassazione, sentenza 6254/2004).
La rituale e tempestiva presentazione dell’istanza di rimborso e il successivo silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, sono, pertanto, necessari a integrare il provvedimento negativo impugnabile innanzi al giudice tributario; nel caso di specie, come detto, il diritto al rimborso non poteva dunque essere esercitato, essendosi esaurito il relativo rapporto a seguito della scadenza dei termini concessi per mettere in discussione la debenza dell’imposta.
In definitiva, l’inutile decorso del termine di decadenza di 48 mesi per la proposizione dell’istanza di rimborso, previsto dall’articolo 38 del Dpr 602/1973, comporta la definitività del rapporto giuridico, il quale va considerato esaurito e non riattivabile.
In applicazione dei richiamati principi, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente, condannandola altresì alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.