Tassazione buoni pasto

l’articolo 51 Tuir prende in considerazione diverse ipotesi di somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti, e precisamente:

a) somministrazione diretta o gestione diretta/indiretta di una mensa da parte del datore di lavoro;

b) prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (c.d. “ticket restaurant”);

c) corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.

La collocazione di una fattispecie di somministrazione in una delle richiamate categorie è di estrema importanza, in considerazione del fatto che a ciascuna di esse corrisponde un differente trattamento fiscale.

Iniziando con l’analisi del primo punto, e ricordando quanto previsto dalla già richiamata disposizione normativa, non assumono rilievo, ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente, le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro. Non costituiscono compensi in natura, ad esempio, i pasti consumati dai camerieri o dal cuoco di un ristorante, nonché dai collaboratori domestici, come peraltro chiarito dalla circolare 326/E/1997 (par. 2.2.3.).

Non configurano redditi da lavoro dipendente anche le somministrazioni in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro, oppure gestite da terzi a seguito di apposite convenzioni o nell’ambito di specifici contratti di appalto o somministrazione.

Tra l’altro, come evidenziato dalla già citata circolare 326/E/1997, tra le prestazioni di vitto e le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite da terzi, sono comprese le convenzioni con ristoranti/bar e la fornitura di cestini preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti.

Ciò significa, dunque, che in caso di convenzione con un ristorante o un bar la fattispecie può essere pienamente assimilata alla mensa aziendale, ragion per cui non sono previsti limiti massimi oltre i quali le somme assumono rilievo ai fini della quantificazione del reddito di lavoro dipendente.

Come chiarito dalla risoluzione AdE 63/E/2005 possono essere assimilate alle fattispecie in esame anche le c.d. “card elettroniche”.

Grazie alle card elettroniche viene infatti riconosciuta al dipendente la possibilità di beneficiare di un servizio di mensa aziendale “diffusa”, potendo lo stesso recarsi in diversi esercizi pubblici convenzionati, dotati di appositi terminali al fine di consentire il riconoscimento del dipendente utilizzatore del badge. Trattasi, evidentemente, di un servizio diverso dal c.d. “ticket restaurant”, in quanto il dipendente può consumare un solo pasto al giorno e, nel caso in cui non dovesse consumarlo, non può recuperarlo nei successivi giorni.

La card, dunque, non rappresenta un titolo di credito, ma esclusivamente uno strumento idoneo ad individuare il dipendente che ha diritto di ricevere la somministrazione del pasto, ragion per cui le prestazioni rese attraverso essa non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, a prescindere dall’importo.

A diverse conclusioni deve invece giungersi con riferimento ai c.d. “ticket restaurant” o “buoni pasto”, i quali non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente fino all’importo complessivo di euro 4 al giorno, aumentato a 8 euro in caso di prestazioni rese in forma elettronica (limite recentemente rivisto dalla Legge di bilancio 2020, la quale, quindi, con decorrenza dal 1° gennaio 2020, ha introdotto delle nuove soglie in sostituzione di quelle in passato previste, pari a euro 5,29 ed euro 7).

Ai fini dell’individuazione della decorrenza dei nuovi limiti introdotti dalla Legge di bilancio 2020, in mancanza di specifici chiarimenti, dovrebbero assumere rilievo la data di consegna dei buoni cartacei e la data di assegnazione dei buoni elettronici (sempre tenendo conto del c.d. “principio di cassa allargato”, in forza del quale si considerano percepiti nel periodo d’imposta le somme corrisposte dai datori di lavoro entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo).

La disciplina dei buoni pasto era stata tra l’altro recentemente riformulata anche dal D.M. 07.06.2012, il quale aveva introdotto, per la prima volta, il limite di cumulabilità di otto buoni pasto: in considerazione della richiamata novità, il buono pasto cartaceo deve contenere, oltre agli altri dati espressamente previsti, la specifica dicitura “Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”. La stessa dicitura è riportata elettronicamente anche nei buoni pasto in forma elettronica.

Non è chiaro, tuttavia, ad oggi, se il suddetto limite si riferisca ad una giornata o ad una sola transazione, essendo quindi, in quest’ultimo caso, possibile spendere sette buoni pasto in un supermercato, e, subito dopo, altri sette in un ristorante.

Altra questione non ancora oggetto di chiarimenti riguarda la possibilità di spendere i buoni pasto nei giorni festivi. La precedente disposizione, che richiamava la necessità di spendere i buoni pasto “durante la giornata lavorativa” non è stata confermata nel processo di riforma, ragion per cui, ad oggi, in assenza di chiarimenti di senso opposto, potrebbe pacificamente ritenersi che i buoni pasto possano essere spesi anche durante le giornate non lavorative.

È invece stato ormai definitivamente chiarito che i buoni pasto possono essere corrisposti anche nel caso in cui l’orario di lavoro non riconosca al dipendente una pausa per il pranzo (risoluzione AdE 118/E/2006) e anche se il dipendente ha un contratto di lavoro a tempo parziale. Si ritiene, tuttavia, in ogni caso, che vi debba essere un collegamento tra le giornate effettivamente lavorate e le prestazioni, sicché, pur non essendo mai stati emanati chiarimenti ufficiali, le somme possono essere escluse dal reddito di lavoro dipendente (sempre nei previsti limiti) solo nel caso in cui i buoni pasto siano stati corrisposti a fronte delle giornate effettivamente lavorate.

Il limite di 5,29 euro trova infine applicazione anche con riferimento alle indennità sostitutive di mensa corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione. In tutti gli altri casi, invece, fatta eccezione per le ipotesi prima richiamate, le somme corrisposte ai dipendenti rilevano ai fini della formazione del reddito di questi ultimi.

Dubbi potrebbero quindi sussistere ai fini dell’individuazione delle “unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione”: il personale addetto al casello autostradale, che lavora lontano dai centri abitati e al quale sono riconosciuti dei tempi per la pausa pranzo non compatibili con gli spostamenti, può vedersi riconosciuta un’indennità sostitutiva di mensa non imponibile nel limite di euro 5,29?

In merito a tale aspetto è intervenuta la risoluzione AdE 41/E/2000, la quale ha precisato che la   previsione normativa non consente di individuare criteri di carattere generale per stabilire la sussistenza di “unità produttive ubicate in zone ove manchino strutture o servizi di ristorazione“, essendo necessaria una verifica dei singoli casi concreti: “Con riferimento a

tale locuzione si può ritenere, in linea di principio, che l’esclusione dell’importo fino a 10.240 lire [oggi euro 5,29, n.d.r.] possa riguardare soltanto quelle categorie di lavoratori per le quali ricorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 

  • avere un orario di lavoro che comporti la pausa per il vitto. Sono esclusi, quindi, tutti i dipendenti ai quali, proprio in funzione della particolare articolazione dell’orario di lavoro che non consente di fruire della pausa pasto, viene attribuita una indennità sostitutiva di mensa;
  • essere addetti ad una unità produttiva. Sono esclusi, quindi, coloro che non sono stabilmente assegnati ad una “unità” intesa come sede di lavoro;
  • ubicazione della suddetta unità in un luogo che, in relazione al periodo di pausa concesso per il pasto, non consente di recarsi, senza l’utilizzo di mezzi di trasporto, al più vicino luogo di ristorazione, per l’utilizzo di buoni pasto”.

Tutto quanto appena premesso, si ritiene, infine, necessario soffermare l’attenzione sul regime di deducibilità delle spese in esame da parte delle imprese, soprattutto con riferimento all’applicabilità del limite del 75% ordinariamente previsto per le spese per la somministrazione di alimenti e bevande.

In merito a tale aspetto pare utile richiamare la circolare AdE 6/E/2009, la quale ha stabilito quanto segue: “Si ritiene che l’ipotesi di spese sostenute da una impresa per la gestione diretta di un servizio di mensa aziendale non possa essere ricondotta alla fattispecie interessata dalla nuova disposizione. In questa ipotesi, infatti, le spese sostenute dal datore di lavoro riguardano l’acquisto di beni e servizi ed eventualmente quelle per la manodopera da utilizzare per la preparazione di pasti da somministrare e non l’acquisto di una somministrazione di alimenti e bevande. Parimenti, nell’ipotesi in cui la mensa sia gestita da terzi, il costo relativo non subisce limitazioni alla deducibilità tenuto conto che lo stesso è sostenuto per l’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande”.

La stessa circolare ha inoltre escluso l’applicabilità del limite del 75% anche

  • alle spese sostenute dal datore di lavoro per l’acquisto dei ticket restaurant ,
  • agli importi corrisposti all’esercente pubblico a fronte della convenzione con lo stesso stipulata.
Tassazione buoni pasto ultima modifica: 2020-02-26T06:13:00+01:00 da Dott. Gaetano Pappalardo

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