Le regole Iva connesse alle società di comodo violano il diritto unionale sia per quanto riguarda la soggettività passiva che per quanto riguarda il diritto a detrazione dell’imposta.
Protagonista della vicenda è una società considerata non operativa dalle Entrate per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008, a cui pertanto è stato negato il diritto alla detrazione Iva. La questione, arrivata in Cassazione, è legata all’applicazione dell’articolo 30 della legge 724/1994, che prevede delle limitazioni del diritto alla detrazione dell’Iva per le società di comodo.
La norma, ampiamente criticata negli anni dalla dottrina nazionale, portata al vaglio dei giudici Ue, è stata bocciata sotto diversi profili: in primis, per incompatibilità con le nozioni di «soggettività passiva Iva» e «attività economica» (articolo 9 della direttiva Iva); in secondo luogo, per incompatibilità con il diritto alla detrazione (articolo 167 della direttiva Iva) e il principio di neutralità.
Nell’ambito della direttiva Iva nessuna norma subordina il diritto alla detrazione al requisito che l’importo delle operazioni attive, effettuate da un soggetto in un determinato periodo d’imposta, raggiungano una certa soglia. Contrariamente a quanto sostenuto dall’avvocato generale, secondo la Corte, la disposizione nazionale non trova conforto neppure nella sua natura antielusiva. La presunzione di società di comodo – pur essendo confutabile – basandosi su una mera valutazione del volume delle operazioni rilevanti ai fini Iva, non può considerarsi idonea a dimostrare che il diritto alla detrazione è stato invocato in modo fraudolento o abusivo. Di conseguenza, la norma interna che priva del diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte, a causa dell’importo «insufficiente» delle operazioni rilevanti ai fini Iva effettuate a valle, non può dirsi compatibile con l’articolo 167 della direttiva.