Il regime fiscale speciale per i lavoratori impatriati si può applicare per una seconda volta a seguito del nuovo ingresso in Italia. È la conclusione a cui è giunta l’agenzia delle Entrate, proprio mentre la delega fiscale (la legge è stata promulgata ieri dal Presidente della Repubblica) prevede inteventi sul tema, in una recente risposta a interpello inedita.
L’istante, lavoratore nel settore della moda, ha beneficiato del regime impatriati (articolo 16 del Dlgs 147/2015) per gli anni di imposta 2019 e 2020, godendo dell’esenzione da tassazione del 50% del reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia. L’agevolazione era valevole per un quinquennio e quindi sino all’anno d’imposta 2023. Tuttavia, nel 2021 il lavoratore trasferiva la residenza fiscale in Francia, per poi fare ancora ritorno in Italia nel 2022, qualificandosi nuovamente come residente ai fini fiscali dal 2023. Si chiedeva quindi se (e fino a quando) il regime fiscale speciale potesse applicarsi in occasione del secondo rientro nel nostro Paese, sulla base della nuova formulazione vigente ratione temporis che stabilisce una esenzione da tassazione del 70% del reddito da lavoro dipendente prodotto in Italia.
A seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 5 del Dl 34/2019, il regime prevede che i redditi di lavoro dipendente (così come i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e quelli di impresa in forma individuale) prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare (10% in caso di trasferimento al Sud) con le seguenti condizioni:
a) il lavoratore non deve essere stato residente in Italia nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento;
b) l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano;
c) l’impatriato si impegna a permanere in Italia per almeno due anni, pena la decadenza dall’agevolazione, con recupero dei benefici già fruiti, oltre interessi e sanzioni.
Il regime è di carattere temporaneo, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo d’imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del Tuir. È possibile una estensione per un ulteriore quinquennio con una minore detassazione (50%) in caso di figli o acquisto di immobili di tipo residenziale.
La percentuale di tassazione dei redditi agevolabili negli ulteriori cinque anni si riduce ulteriormente al 10% se il soggetto ha almeno tre figli minorenni a carico.
Ebbene, la disciplina non prevede la «sospensione», nel corso del quinquennio, dell’agevolazione in caso di espatrio, né tantomeno si esclude la possibilità di usufruirne una seconda volta, a fronte di un nuovo rientro in Italia e sempre al ricorrere dei requisiti
Il regime fiscale speciale per i lavoratori impatriati si può applicare per una seconda volta a seguito del nuovo ingresso in Italia. È la conclusione a cui è giunta l’agenzia delle Entrate, proprio mentre la delega fiscale (la legge è stata promulgata ieri dal Presidente della Repubblica) prevede inteventi sul tema, in una recente risposta a interpello inedita.
L’istante, lavoratore nel settore della moda, ha beneficiato del regime impatriati (articolo 16 del Dlgs 147/2015) per gli anni di imposta 2019 e 2020, godendo dell’esenzione da tassazione del 50% del reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia. L’agevolazione era valevole per un quinquennio e quindi sino all’anno d’imposta 2023. Tuttavia, nel 2021 il lavoratore trasferiva la residenza fiscale in Francia, per poi fare ancora ritorno in Italia nel 2022, qualificandosi nuovamente come residente ai fini fiscali dal 2023. Si chiedeva quindi se (e fino a quando) il regime fiscale speciale potesse applicarsi in occasione del secondo rientro nel nostro Paese, sulla base della nuova formulazione vigente ratione temporis che stabilisce una esenzione da tassazione del 70% del reddito da lavoro dipendente prodotto in Italia.
A seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 5 del Dl 34/2019, il regime prevede che i redditi di lavoro dipendente (così come i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e quelli di impresa in forma individuale) prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare (10% in caso di trasferimento al Sud) con le seguenti condizioni:
a) il lavoratore non deve essere stato residente in Italia nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento;
b) l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano;
c) l’impatriato si impegna a permanere in Italia per almeno due anni, pena la decadenza dall’agevolazione, con recupero dei benefici già fruiti, oltre interessi e sanzioni.
Il regime è di carattere temporaneo, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo d’imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del Tuir. È possibile una estensione per un ulteriore quinquennio con una minore detassazione (50%) in caso di figli o acquisto di immobili di tipo residenziale. La percentuale di tassazione dei redditi agevolabili negli ulteriori cinque anni si riduce ulteriormente al 10% se il soggetto ha almeno tre figli minorenni a carico.
Ebbene, la disciplina non prevede la «sospensione», nel corso del quinquennio, dell’agevolazione in caso di espatrio, né tantomeno si esclude la possibilità di usufruirne una seconda volta, a fronte di un nuovo rientro in Italia e sempre al ricorrere dei requisiti previsti dal citato articolo 16. Pertanto, in caso di espatrio dopo il primo biennio (a pena di decadenza), ma prima del decorso del quinquennio agevolato, l’agevolazione smette di applicarsi, in quanto il lavoratore non è più fiscalmente residente in Italia. Può poi “ripartire” per una seconda volta, dal momento del successivo rientro. Così, nel caso oggetto dell’interpello, il lavoratore potrà nuovamente avvalersi del regime, considerando quale anno d’imposta di decorrenza del quinquennio il 2023 (e quindi sino al 2027).
Si tratta di soggetti che provengono principalmente da paesi quali Germania, Francia e Spagna, Regno Unito, ma anche Stati Uniti. E la categoria include tanto i top manager di aziende, quanto le professionalità minori che possono svolgere in Italia attività di lavoro anche alle dipendenze di un datore di lavoro estero, senza dimenticare i lavoratori sportivi e chi intende avviare un’attività di impresa in forma individuale in Italia.