Dopo l’esperienza, ancora in corso di definizione, della voluntary disclosure, può affermarsi che gli operatori di settore, ivi inclusi gli uffici che stanno procedendo alla liquidazione della pratica, hanno una maggiore cognizione delle problematiche connesse alla detenzione di patrimoni all’estero. Fatta la premessa, è bene al riguardo fare subito una precisazione importante: per l’anno 2015, che sarà oggetto delle prossime dichiarazioni dei redditi, la posizione dei contribuenti che hanno capitali all’estero sarà identica, a prescindere dalle soluzioni adottate rispetto al passato. Dunque, sia coloro che hanno sempre effettuato tutti gli adempimenti in Unico, sia chi si è avvalso della procedura di collaborazione volontaria, sia ancora chi per il passato non ha fatto nulla o ha soltanto parzialmente adempiuto agli adempimenti di Unico (s’immagini, ad esempio, coloro che hanno solo compilato il quadro RW senza però dichiarare nei quadri interessati i redditi percepiti all’estero) e oggi vi provvede mediante il ravvedimento operoso e le dichiarazioni integrative, dovranno procedere non soltanto al monitoraggio fiscale e dunque alla compilazione del citato quadro RW e al pagamento delle relative patrimoniali, ma anche gestire le problematiche reddituali ( a seconda dei casi quadro RL, RM, RT, etc.). La tematica, è necessario ricordare, riguarda tutti i contribuenti persone fisiche residenti in Italia, a prescindere dalla loro nazionalità.
Approccio metodologico
Ogni contribuente residente in Italia che possiede capitali all’estero deve verificare la correttezza di tre adempimenti:
Quanto al monitoraggio fiscale, analizzando il ricorrere delle circostanze che obbligano o, di converso, esonerano dallo stesso. In merito si ritengono indispensabili le circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 45 del 13 settembre 2010 e n. 38 del 23 dicembre 2013, per comprendere le tecniche di compilazione e gli obblighi conseguenti, essendo comunque necessario rivolgersi ad un operatore di settore dati gli elevatissimi tecnicismi;
In ordine alle nuove patrimoniali (IVIE e IVAFE), appurando la presenza dell’obbligo di pagamento delle stesse, potendosi avvalere in tale senso oltre che della richiamata circolare n. 38 del 2013, soprattutto della circolare n. 28 del 2 luglio 2012;
Circa i redditi eventualmente percepiti all’estero (interessi, capital gain, fondiari, di lavoro autonomo), procedendo alla relativa dichiarazione, dapprima verificando i contenuti della convenzione contro le doppie imposizioni (se esistente), per appurare il ricorrere di eventuali deroghe al principio di tassazione in Italia dei redditi ovunque percepiti e successivamente dichiarando i redditi con eventuale recupero del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (articolo.
Il quadro di monitoraggio RW e le patrimoniali estere
Il monitoraggio fiscale e la determinazione delle patrimoniali estere non hanno subito stravolgimenti di sorta nella compilazione del quadro RW, rimasto di fatto identico nelle relative regole rispetto allo scorso anno. Sono oggetto di monitoraggio fiscale tutti gli investimenti detenuti all’estero, dal conto corrente alla partecipazione estera, dalla gestione titoli ai beni d’arte, dall’immobile all’imbarcazione.
Dopo di che per questi investimenti solo in riferimento a quelli finanziari (con specifiche eccezioni, come per le partecipazioni in società estere o conti correnti di ammontare medio inferiore a € 5.000) o agli immobili scatta l’obbligo di corrispondere le due patrimoniali IVAFE e IVIE, al netto di quanto eventualmente pagato all’estero. Sul tema almeno una particolarità deve essere segnalata: posto che il quadro di compilazione è lo stesso (ossia il quadro RW), potrebbero verificarsi ipotesi di obbligo di compilazione anche in assenza di uno degli adempimenti. Ad esempio, i c.d. “frontalieri”, che sono esonerati dal monitoraggio fiscale limitatamente a ciò che detengono nel paese in cui prestano l’attività lavorativa, devono comunque liquidare le patrimoniali per detti capitali, dunque compilando il quadro RW. Ancora, in relazione ad un conto corrente, se lo stesso ha una giacenza media non superiore a 5 mila euro, ma magari ha raggiunto un valore massimo di 21 mila euro, pur non esistendo l’obbligo di corrispondere l’IVAFE si dovrà procedere al monitoraggio fiscale.
I redditi esteri – le complicazioni operative
La vera complicazione attiene però il lato reddituale e in questa direzione l’esperienza della voluntary disclosure ha fatto emergere numerose criticità. In sede di collaborazione volontaria, ad esempio, è emersa la necessità di valutare nel dettaglio i rapporti di conto corrente e le gestioni valutarie estere, analizzando l’eventuale realizzo di plusvalenze nonché la percezione di interessi e cedole. Così come è necessario valutare le modalità di accumulo dei capitali all’estero (magari a seguito della percezione di una locazione dichiarata nel paese di detenzione dell’immobile, ma che in forza delle convenzioni contro le doppie imposizioni è solitamente da dichiarare anche in Italia).
Il punto delicato iniziale è che a differenza della voluntary disclosure nelle dichiarazioni dei redditi ordinarie non esiste la possibilità di procedere con determinazioni forfettarie dei redditi di capitale (interessi e capital gain) percepiti all’estero, con l’evidente conseguenza che il 2015, nonché gli anni futuri, occorre procedere con una determinazione analitica dei redditi.
Pertanto bisogna obbligatoriamente verificare se e quali redditi sono stati conseguiti nel 2015, ricordando almeno velocemente i passi da seguire:
Verificare la tipologia di reddito percepita all’estero;
comprendere se si tassa soltanto all’estero o anche in Italia (mediante la lettura delle convenzioni contro le doppie imposizioni);
calcolare il reddito da dichiarare in Italia e procedere con la compilazione di Unico;
Verificare l’eventuale possibilità di recupero del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, compilando il quadro CE di Unico.
Se alcuni redditi sono (per chi sa come si fa) di sufficientemente facile trattazione (come ad esempio le locazioni), circa i redditi finanziari le difficoltà di calcolo sono notevoli. Le banche estere solitamente certificano, quali redditi, solo quelli afferenti gli interessi percepiti e le cedole. Già per gli interessi, però, vi è il problema di capire l’aliquota di tassazione, poiché potrebbe trattarsi di interessi collegati a titoli di stato esteri che subiscono la tassazione del 12,5%.
L’altro notevole problema è rappresentato dalla circostanza che nel corso dell’anno, nella gestione titoli, potrebbero essere avvenute compravendite continue. Bisogna determinare le eventuali plusvalenze o minusvalenze, informazione che la banca estera non rende. Il solo dato è di solito rappresentato dalla certificazione della vendita (distinta movimenti), ma inevitabilmente, mediante il ricorso al metodo Lifo, tocca al consulente determinare le plus/minus dell’anno. Ciò potrebbe comportare la necessità di risalire al costo d’acquisto del titolo che è avvenuto molti anni addietro.
Dovendo ricordare che se si detiene un conto in valuta estera è necessario calcolare le plus/minus sulle differenze di cambio se la giacenza media supera in almeno 7 giorni lavorativi l’ammontare di 50 mila euro. Un conto in franchi svizzeri o in sterline inglesi, ad esempio, potrebbe rientrare in detta casistica abbastanza facilmente: in una simile circostanza sempre con il metodo Lifo e a cambi giornalieri bisogna osservare cosa è successo in ogni cessione di valuta (intesa non solo come prelievo ma anche ad esempio come acquisto di titoli: in pratica ogni uscita di valuta è rilevante).
Certamente il quadro delineato non è affatto di semplice gestione.
Le soluzioni
Al riguardo è bene sottolineare che anche chi ha effettuato il c.d. rimpatrio giuridico utilizzando una fiduciaria per la gestione del patrimonio estero è “al riparo” per quanto concerne gli adempimenti fiscali (che sono infatti effettuati dalla fiduciaria medesima), solo dal momento dell’incarico conferito alla stessa, non essendolo per l’intero anno 2015 (e si segnala che non lo è nemmeno per l’anno 2014, posto che la voluntary ha consentito di regolarizzare le violazioni commesse fino a tutto il 2013).
Diversamente, un escamotage di bassa leva per ovviare ad al ginepraio dei redditi derivanti da attività finanziarie è applicare l’articolo 6 del D.L. 167 del 1990, ossia dichiarare il saggio legale in relazione al capitale detenuto all’estero. Della serie, posto che questa è la norma residuale di accertamento per il fisco, si dichiara proprio il reddito forfettario; in questo modo sarà onere dell’ufficio fare un accertamento analitico (di fatto l’accertamento forfettario è impedito essendo il relativo ammontare comunque dichiarato). Una simile scelta, però, deve essere adottata con piena cognizione di causa, perché se da un lato agevola la compilazione, dall’altro diviene elevatissimo il rischio di un futuro contenzioso, ovviamente a condizione che sia proprio l’ufficio competente a volersi sobbarcare il duro lavoro di una determinazione analitica dei redditi esteri.
La morale però è chiara: i capitali esteri hanno una relativa gestione in sede di dichiarazione assolutamente non semplice e richiede tempo e pazienza, essendo necessario prepararsi per tempo, soprattutto per la raccolta della documentazione necessaria. È il caso dunque di iniziare ad affrontare il problema, per non farsi trovare impreparati soprattutto al momento del pagamento delle imposte.