Varie volte abbiamo evidenziato che, secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, la dichiarazione infedele sanata entro i 90 giorni è equiparata a una dichiarazione tardiva (circ. 12 marzo 2010 n. 11 § 3.2).
Allora, se il contribuente ha omesso di dichiarare ricavi nel modello UNICO 2015 e si ravvede entro il 29 dicembre, deve presentare la dichiarazione integrativa e versare i 25 euro, pagare le imposte, gli interessi legali e le sanzioni ridotte per i tardivi pagamenti per le imposte da versare a saldo e, eventualmente, in acconto.
Abbiamo anche evidenziato che, per effetto della L. 190/2014, la tesi non sarebbe, a livello sistematico, più stata sostenibile. Infatti, il legislatore, nella “nuova” lettera a-bis) dell’art. 13 del DLgs. 472/97, ha disciplinato il ravvedimento di violazioni, dichiarative e non, sanate entro i 90 giorni, con riduzione a 1/9 del minimo della sanzione.
Trattandosi di dichiarazione infedele, allora, sebbene ciò sia pregiudizievole nei confronti del contribuente, ne poteva derivare la necessità di pagare imposte, interessi legali e sanzioni del 100% ridotte a 1/9.
Certo, si tratta di una soluzione assolutamente incoerente (e per questo, in sostanza, rigettata dalla circolare della Fondazione Nazionale dei commercialisti dello scorso luglio 2015), visto che, alla fine, rende conveniente omettere in toto la dichiarazione.
Ecco che l’Agenzia delle Entrate, con un comunicato stampa diramato venerdì, in maniera a dir poco “salomonica”, risolve la questione.
Prima, si afferma che la tesi pregressa non ha più ragione di esistere: in effetti, se si affermasse il contrario, la “nuova” lettera a-bis) sarebbe priva di significato.
A questo punto, per tutelare il contribuente, c’è un vero e proprio colpo di scena: la dichiarazione infedele sanata nei 90 giorni viene equiparata ad una dichiarazione inesatta, quindi il ravvedimento va fatto riducendo a un nono la sanzione di 258 euro, arrivando a pagare così 28 euro (la norma di riferimento non è quella sulla dichiarazione infedele, nonostante di dichiarazione infedele si tratti, ma l’art. 8 del DLgs. 471/97, sulla dichiarazione inesatta; ove, rammentiamo, all’inizio della norma il legislatore aveva sentito, già nel 1997, l’esigenza di specificare che si deve trattare di ipotesi non rientranti nella dichiarazione infedele).
Occorrerebbe interrogarsi sul nesso che c’è, dal punto di vista tecnico, tra dichiarazione infedele presentata nei 90 giorni e dichiarazione inesatta.
In ogni caso, non rimane che accogliere con favore il comunicato stampa, in assenza del quale i contribuenti sarebbero stati oltremodo pregiudicati.
Sul versante operativo, in base a quanto detto nel comunicato stampa medesimo, entro il 29 dicembre 2015:
– è possibile sia sanare la tardiva dichiarazione (pagando 25 euro), sia la dichiarazione infedele (pagando 28 euro);
– bisogna, a seconda dei casi, presentare la dichiarazione omessa o ripresentare la dichiarazione correttamente;
– occorre pagare le imposte, gli interessi legali e le sanzioni da tardivo versamento ridotte.
Alla fine del comunicato, confermando, implicitamente, che si tratta di una tesi “salomonica”, si afferma che se il ravvedimento sulla dichiarazione infedele avviene spirati i 90 giorni, di fatto riemerge la “vera” violazione da dichiarazione infedele.
Dunque, aggiungiamo noi, pare il ravvedimento debba avvenire ripresentando la dichiarazione, pagando le imposte, gli interessi legali e le sanzioni del 90% (per effetto della riduzione del DLgs. 158/2015) ridotte, a seconda delle ipotesi, a 1/8, 1/7 o 1/6.
Ma, a ben vedere, potremmo pure credere davvero nella metamorfosi che, secondo la tesi descritta, interessa le violazioni dichiarative, non facendola svanire dopo i 90 giorni. Allora, perché non ravvedersi sine die pagando la sanzione da 258 euro ridotta a 1/8, 1/7 o 1/6?
È chiaro che si tratta di un’asserzione provocatoria, strumentale a un monito per il legislatore, che dovrebbe valutare l’opportunità di disciplinare, una volta per tutte, la sanzione per la dichiarazione infedele sanata entro i 90 giorni.