L’obbligo contributivo, previsto dagli artt. 1 e 3 R.D. 636/1939, nonché dall’art. 2115 C.C., impone al datore di lavoro il pagamento, in favore dell’ente previdenziale, di un importo a titolo di contributi previdenziali a beneficio dei suoi dipendenti. I contributi previdenziali sono dovuti in parte dal datore di lavoro, in parte dal lavoratore. Nondimeno, l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali è posto a carico del datore di lavoro sia per i contributi dovuti dallo stesso datore, sia per quelli posti dalla legge a carico del lavoratore.
In tale contesto normativo, il rapporto previdenziale si articola in una pluralità di rapporti bilaterali e più precisamente: il rapporto, avente a oggetto l’adempimento dell’obbligazione contributiva, esistente tra datore di lavoro e istituto previdenziale; il rapporto previdenziale avente ad oggetto l’erogazione delle prestazioni ed esistente tra istituto assicuratore e lavoratore assicurato; il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro.
L’obbligazione contributiva ha quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi per l’intero: per converso, a tale rapporto obbligatorio è estraneo il lavoratore, che è solo il beneficiario della prestazione previdenziale.
Ne consegue che il lavoratore non può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, residuando in suo favore, nel caso di omissione contributiva, il rimedio dell’art. 2116 C.C. (Cass. 14.02.2014, n. 3491). Pertanto, il lavoratore non potrà richiedere al datore di lavoro il pagamento, in proprio favore, di quei contributi previdenziali (salvo la quota a carico dello stesso lavoratore) che il datore di lavoro, non avendo corrisposto la retribuzione, neppure ha versato all’ente previdenziale.
Con sentenza 27.05.2010, n. 12964 è stato precisato che “in caso di fallimento dell’azienda, il lavoratore, qualora il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione, ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi, può chiedere direttamente, in via prudenziale o in caso di inerzia dell’Inps, l’ammissione al passivo, oltre che di quanto a lui spettante a titolo di retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del medesimo”.
Ciò non significa che il credito retributivo del lavoratore debba essere calcolato al lordo dei contributi previdenziali nel loro complesso considerati, bensì che deve essere calcolato al lordo della sola quota di contributi posta a carico del lavoratore.
In definitiva, poiché in caso di condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, della retribuzione a questi non corrisposta, la quota contributiva altrimenti dovuta dal lavoratore rimane definitivamente a carico del datore di lavoro; e poiché non è configurabile un diritto del lavoratore ad invocare in proprio favore l’adempimento dell’obbligazione contributiva, per la quota a carico del datore di lavoro, il credito retributivo del lavoratore va ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro al lordo della quota contributiva altrimenti gravante sul lavoratore, in privilegio trattandosi di credito per retribuzione, esclusa quella gravante sul datore di lavoro (Cass. 17.11.2016, n. 23426).
Insinuazione al passivo della retribuzione
Insinuazione al passivo della retribuzione ultima modifica: 2019-10-03T06:08:58+02:00 da