L’istituto del ravvedimento operoso, dopo il restyling operato dalla legge di Stabilità 2015, è stato ampliato con lo scopo di incentivare la compliance del contribuente. L’art. 13, D.Lgs. 472/1997 consente al contribuente di correggere errori e omissioni, anche incidenti sulla determinazione dell’imposta, attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa entro la scadenza del termine per l’emissione dell’avviso di accertamento. Completa il quadro il ravvedimento parziale previsto dal recente Decreto Crescita. Quindi, è chiara la volontà del legislatore di incentivare l’utilizzo di tale strumento per spingere il contribuente all’adempimento. Tuttavia, sotto il profilo penale-tributario si rileva una frattura tra dottrina e giurisprudenza, da un lato, e Amministrazione Finanziaria, dall’altro.
E’ controverso, in particolare, se il ravvedimento sia possibile in presenza di reati fraudolenti come quello previsto dall’art. 2 D.Lgs. 74/2000 (indicazione in dichiarazione di elementi fittizi o altri documenti per operazioni inesistenti). La questione non è di poco conto, poiché l’art. 13-bis, c. 1 D.Lgs. 74/2000 prevede che il contribuente possa beneficiare della riduzione della pena se, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, estingue il debito tributario comprese sanzioni e interessi, mediante integrale pagamento. Il comma 2 prevede che l’applicazione dell’art. 444 c.p.p. sia subordinata al ricorrere delle circostanze di cui al citato comma 1, nonché all’effettuazione del ravvedimento operoso. Tale articolo va letto in simmetria con l’art. 13, D.Lgs. 74/2000, cui fa espresso richiamo (in particolare ai cc. 1 e 2).
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione (sent. n. 5448/2018) chiamata a pronunciarsi sulla corretta applicazione dell’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000. La Suprema Corte ha affermato che, riscontrata l’espressa rilevanza accordata al ravvedimento ai fini della fruizione dei benefici penali, nonché per il patteggiamento e per le circostanze attenuanti, la definizione è ammessa anche per il reato di dichiarazione fraudolenta richiamato nell’art. 2 D.Lgs. 74/2000. Quindi, ampio spazio alla presentazione della dichiarazione integrativa anche in presenza di fatture per operazioni inesistenti.
Al contrario, sia l’Agenzia delle Entrate che la Guardia di Finanza hanno a più riprese sostenuto l’impossibilità di applicare i benefici connessi al ravvedimento alle condotte fraudolente, ritenute particolarmente offensive per gli interessi erariali e pertanto non meritevoli di premialità. La motivazione di tale preclusione, secondo l’Amministrazione Finanziaria, risiede nel fatto che tali comportamenti si configurano come antigiuridici; in particolare, l’utilizzo di fatture false non sarebbe riconducibile nel concetto di “errori e omissioni anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo” richiamato dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997.
Tale tesi è stata contrastata anche dall’AIDC che, nella norma di comportamento n. 202/2018, ha evidenziato che il ravvedimento, determinando l’estinzione volontaria del debito, eliminerebbe il dolo specifico di evasione. La rigorosa interpretazione della prassi amministrativa mal si attaglia con quanto previsto dall’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000 che, peraltro, non prevede alcuna preclusione all’applicazione del ravvedimento in presenza del reato di cui all’art. 2.
Il ravvedimento operoso è stato ampliato
Il ravvedimento operoso è stato ampliato ultima modifica: 2019-10-02T06:16:51+02:00 da