Con le ultime novità introdotte dalla legge di Bilancio 2023 in materia fiscale, si è ampliata la soglia di accesso alla cosiddetta flax tax . La legge n. 197/2022 ha, infatti, disposto l’innalzamento del limite di adesione al regime forfettario, che è passato da 65mila euro a 85mila euro di ricavi/compensi annui. Ma non è per niente scontato scegliere questa opzione come quella sempre conveniente per il contribuente. Considerato che il regime forfetario è destinato alle persone fisiche esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo in possesso di determinati requisiti, occorre analizzare nel dettaglio l’impatto che la nuova misura avrà sui redditi di lavoro autonomo e su chi decide di aprire una partita Iva per accedere al regime agevolato.
Accantoniamo per un attimo le semplificazioni che sono previste per chi utilizza il regime forfettario e proviamo a concentrarci sulle imposte da pagare. Chi utilizza il regime forfettario è molto spesso una partita Iva che svolge attività di impresa e professionale. Cosa succede a chi somma lavoro autonomo e reddito d’impresa? Sarà soggetto a un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali del 15%, se avrà una base imponibile non superiore a 40.000 euro, pari alla differenza tra il reddito d’impresa e di lavoro autonomo determinato nel 2023 e il reddito d’impresa e di lavoro autonomo, d’importo più elevato, dichiarato negli anni dal 2020 al 2022. E nel caso di soggetti che iniziano una nuova attività, l’imposta è addirittura ridotta al 5% per i primi cinque periodi d’imposta. È indubbio che si tratti di un’aliquota molto più bassa rispetto a quella dell’IRPEF, che invece parte dal 23% (fino a 15 mila euro di reddito imponibile) per salire, sull’imponibile eccedente: al 25% fino a 28 mila euro; al 35% da 28.001 a 50.000; al 43% oltre 50.000 euro. A tali aliquote, inoltre, vanno aggiunte le addizionali regionali e comunali, che variano a seconda del domicilio fiscale del contribuente. Ad esempio, nel Lazio si va dal 2,73% al 3,33% a seconda del reddito; in Lombardia dall’1,23% all’1,72%. In tutti questi casi il regime forfettario conviene e tanto.
Non sempre il regime forfettario e’ più conveniente del regime ordinario Irpef. Facendo una comparazione – aiutandoci con qualche esempio – tra i due regimi, si può notare che per i redditi più bassi e per coloro i quali sostengono spese rilevanti, l’imposta sostitutiva dovuta in regime forfetario si rivela più elevata di quanto dovuto in caso di regime Irpef. Ciò è frutto delle modalità di calcolo del reddito da tassare: rispettivamente forfettario o analitico, a seconda del regime applicabile. Infatti, il contribuente in regime forfettario determina il reddito applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività. Che a sua volta varia a seconda del codice Ateco relativo all’attività esercitata. Senza tenere conto, pertanto, dei costi sostenuti nell’esercizio dell’attività. Nel caso di regime Irpef, invece, il reddito si calcola sulla differenza tra i ricavi o compensi incassati o registrati e le spese sostenute o registrate. Inoltre, il contribuente in regime forfettario non potrà dedurre dal proprio reddito neanche gli oneri per spese sostenute in ambito familiare – come ad esempio, le spese sanitarie, gli interessi per mutui per l’acquisto dell’abitazione principale ecc.. – né fruire delle detrazioni per l’esercizio dell’attività professionale. Pertanto a chi è abituato a detrarre un importo molto elevato di spese, il regime forfettario non sarà conveniente.