Nel caso in cui alla cessione di un’abitazione venga indebitamente applicata l’agevolazione “prima casa”, con conseguente corresponsione dell’IVA nella misura del 4% anziché del 22%, la maggiore imposta viene richiesta dall’Agenzia delle Entrate direttamente all’acquirente dell’immobile, che ha reso, in atto, le mendaci dichiarazioni, atteso che per l’agevolazione prima casa opera una disciplina specifica che eccepisce alla regola generale della solidarietà tra cedente e cessionario.
Il principio è contenuto nell’ordinanza n. 21908 della Cassazione, depositata ieri.
Il caso su cui si pronuncia la Suprema Corte origina da un atto di compravendita immobiliare soggetto ad IVA, cui viene applicata l’agevolazione prima casa. L’Agenzia delle Entrate, disconoscendo l’agevolazione, recuperava la maggiore imposta sul valore aggiunto, ritenendo che l’immobile acquistato avesse natura di immobile “di lusso” ex DM 2 agosto 1969, in virtù della presenza di una piscina.
Si ricorda, per inciso che, oggi, la natura di immobile “non di lusso” non rileva più ai fini dell’accesso all’agevolazione prima casa, che viene limitata ai soli immobili non classificati o classificabili nelle categorie catastali A1, A8 o A9, a prescindere dalla sussistenza delle caratteristiche individuate dal citato decreto ministeriale.
I contribuenti, tuttavia, impugnavano l’atto dell’Agenzia di fronte al giudice tributario, lamentando che:
– da un lato, l’abitazione ceduta avesse le caratteristiche “non di lusso”, avendo superficie inferiore a 240 mq;
– d’altro canto, che l’Agenzia non fosse legittimata a richiedere la maggiore IVA agli acquirenti, ma dovesse rivolgersi al cedente.
I contribuenti vincono in Commissione tributaria, ma l’Agenzia impugna le sentenze e la vicenda giunge in Cassazione, ove le doglianze delle Entrate vengono accolte.
In primo luogo, per quanto concerne la questione della natura “di lusso” dell’abitazione, la Cassazione ritiene che i giudici di merito abbiano effettivamente errato, non avendo tenuto in alcuna considerazione l’esistenza di una piscina ad uso esclusivo dell’immobile ceduto. Tale elemento – ricorda, infatti, la Corte – era astrattamente idoneo, nella previgente disciplina agevolativa (art.4 del DM 2 agosto 1969) a determinare la natura “di lusso” dell’immobile, con conseguente esclusione dell’applicazione del beneficio. Pertanto, i giudici di merito avrebbero quantomeno dovuto indicare il motivo per cui ritenevano che, in concreto, la presenza della piscina non impedisse l’accesso all’agevolazione (ad esempio, perché essa era di dimensioni inferiori a quelle indicate dalla norma).
D’altro canto, poi, per quanto concerne la responsabilità per il pagamento della maggiore IVA, la Cassazione ricorda che, nell’ambito dell’agevolazione prima casa, opera una disciplina del tutto particolare, espressamente prevista dal quarto comma della Nota II-bis all’art.1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86.
Tale disposizione, infatti, prevede che, in caso di decadenza dall’agevolazione, “l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima”. La norma citata, pertanto, espressamente sancisce che il recupero della maggiore IVA debba essere operato “nei confronti degli acquirenti”, così eccependo alla regola ordinaria.
Secondo la Corte, la ragione per cui, nell’ambito dell’agevolazione prima casa, opera questa regola, è da rinvenire nelle modalità stesse di applicazione del beneficio. Infatti, l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta da parte del venditore, in fattura, è legata alle dichiarazioni rese dall’acquirente nell’atto di acquisto, dalle quali deriva, quindi, l’instaurazione di un rapporto diretto tra l’aquirente e l’Amministrazione finanziaria per l’applicazione del beneficio.
Il medesimo principio qui sancito era già stato manifestato dalla Cassazione in altri precedenti, tra cui si ricorda la pronuncia n. 18378/2012 In quest’ultima ordinanza era stata precisata un’ulteriore questione, trascurata, invece, nella pronuncia qui in commento, ovvero la possibilità che la norma che prevede le conseguenze della decadenza dall’agevolazione prima casa possa trovare applicazione non solo in ipotesi di “decadenza” propriamente detta (dichiarazione mendace relativa ad una delle condizioni richieste dalle lettere a), b) e c) della Nota II-bis), bensì anche in ipotesi di mendace dichiarazione in relazione ad una delle altre condizioni di accesso al beneficio quale, ad esempio, la natura “di lusso” dell’immobile (come nel caso esaminato dalla Cass. n. 21908/2015).